Intervista ad Andrea Borini, presidente dell’Osservatorio Turismo Procreativo

Secondo la quarta indagine dell’Osservatorio Turismo Procreativo il flusso della migrazione sanitaria per la procreazione assistita non accenna a diminuire. Ai pazienti che decidono di andare all’estero perché devono ricorrere a trattamenti non consentiti dalla legge italiana, si affiancano anche quelli che cercano trattamenti disponibili in Italia. Ne abbiamo parlato con Andrea Borini, presidente dell’Osservatorio.

Dott. Borini, facciamo chiarezza: quali trattamenti è possibile eseguire in Italia?

Tutti, tranne l’eterologa. A seconda del centro a cui si rivolgono, i pazienti possono sottoporsi a  tutte le tecniche di fecondazione omologa. E possono farlo con fiducia. Dal 2009, da quando cioè la sentenza della Corte Costituzionale ha eliminato molti dei vincoli sanciti dalla legge 40 del 2004, in media i centri hanno ottenuto risultati migliori: è aumentata la percentuale di successo e sono diminuiti i casi di gravidanze gemellari e trigemine.

In particolare:

  • si possono fecondare più di tre ovociti, anche tutti quelli prodotti dalla donna se il medico lo considera utile per migliorare le possibilità di successo in quel caso; le società scientifiche italiane hanno steso linee di comportamento, identificando i casi in cui è richiesto l’utilizzo di un numero elevato di oociti;
  • è il medico insieme alla donna a decidere quanti embrioni trasferire in utero: non più quindi tutti quelli fecondati, ma solo quelli che si ritiengono in numero appropriato per avere le più alte probabilità di successo e cercare di evitare una gravidanza multipla;
  • si possono, anzi si devono, congelare gli embrioni prodotti e non trasferiti;
  • si può eseguire la diagnosi genetica pre-impianto, si può valutare cioè la presenza di mutazioni genetiche specifiche di cui i genitori sono portatori, come in realtà la legge 40 ha sempre previsto.

Eppure, nonostante l’offerta medica italiana sia oggi paragonabile a quella di altri paesi, molti pazienti infertili decidono di rivolgersi a centri esteri. Perché?

Premesso che all’estero esistono alcuni centri eccellenti, e che quindi un certo movimento di pazienti è “fisiologico” (esattamente come arrivano da noi che so, dagli Stati Uniti o da Israele), è però vero che molte coppie ritengono di poter scegliere il centro più adeguato basandosi semplicemente sulle informazioni riportate da altri. Il passaparola è un fattore molto importante in medicina, in particolare nel campo della procreazione assistita. Ma in questo caso è fondamentale che i pazienti sappiano orientarsi fra tutte le informazioni che possono ricevere: a volte a ingrossare le fila di recensioni positive c’è anche della pubblicità. Sono altri invece i parametri da considerare.

Se i pazienti reputano così importante affidarsi alle opinioni di altre persone che hanno avuto lo stesso problema, non sarà in parte anche perché non riescono a trovare un giusto confronto con i medici?

Probabilmente si. A volte i medici non riescono a instaurare un rapporto di fiducia e confidenza con i pazienti. Nel caso della procreazione assistita il fattore psicologico è particolarmente importante: bisogna saper parlare alle singole persone e alla coppia, fare i conti con le aspettative personali e sociali, capire l’ambiente da cui provengono i pazienti e il significato che ha per loro la genitorialità. In più – e questo è davvero allarmante – dall’indagine emerge che spesso i pazienti non solo non ottengono ascolto dai medici ma neanche informazioni corrette sulle possibilità terapeutiche aperte dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2009.

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