E’ di “circa un centinaio” il numero di coppie italiane che ogni anno richiedono, per motivi legati all’infertilità, di utilizzare un ‘utero in affitto’. La stima arriva da Andrea Borini, presidente dell’Osservatorio sul turismo procreativo e di alcuni dei principali centri per la Procreazione medicalmente assistita del nostro Paese (Tecnobios).
Bruxelles, 27 gen. (Adnkronos) – Privati del proprio bambino in Italia perché nato da una madre surrogata, una coppia di genitori ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha dato loro ragione. L’Italia è stata condannata per aver violato il rispetto del diritto di una coppia sposata di riconoscere come proprio figlio un bambino senza legami biologici con loro, in quanto nato con la pratica dell’utero in affitto, e per aver sottratto il piccolo ai coniugi.
I fatti risalgono al 2011. Il ricorso era stato presentato da una coppia molisana, che, dopo aver provato ad avere un figlio con la fecondazione in vitro, aveva deciso di andare in Russia, in cui è legale la pratica della maternità sostitutiva. Il bambino, nato nel febbraio del 2011, era stato riconosciuto in Russia come figlio legittimo della coppia e iscritto all’anagrafe di Mosca. Ma, una volta tornati in Italia, i coniugi si erano visti rifiutare l’iscrizione del bimbo all’anagrafe italiana, anche perché, secondo le autorità italiane, il certificato di nascita conteneva dei dati falsi.
Provata l’assenza di legami biologici fra genitori e figlio, il piccolo era stato dichiarato in stato di abbandono e affidato a una famiglia d’accoglienza. Inoltre le autorità giudiziarie avevano stabilito che la coppia non potesse più avere contatti con il piccolo né adottarlo.
Per la Corte dei diritti dell’uomo “l’allontanamento del bambino dal contesto familiare è una misura estrema” e le condizioni per questa decisione non c’erano. Nella sua sentenza, ad ogni modo, la Corte spiega che il bimbo non deve tornare alla coppia molisana perché “ha sviluppato dei legami emotivi con la famiglia d’accoglienza con cui vive dal 2013”. L’Italia dovrà però pagare alla coppia 20 mila euro per i danni morali e 10 mila per le spese legali.
E’ di “circa un centinaio” il numero di coppie italiane che ogni anno richiedono, per motivi legati all’infertilità, di utilizzare un ‘utero in affitto’. La stima arriva da Andrea Borini, presidente dell’Osservatorio sul turismo procreativo e di alcuni dei principali centri per la Procreazione medicalmente assistita del nostro Paese (Tecnobios).
“Nei nostri centri – dice Borini all’Adnkronos Salute – riceviamo circa tre richieste l’anno, su un totale di 2.000 pazienti. In tutta Italia ci sono 300 strutture come le nostre e se ipotizziamo, tenendo conto delle tendenze, che un centro ogni tre riceva richieste come le riceviamo noi, ecco che si può affermare, in via approssimativa, che un centinaio di coppie l’anno chiedono di avere accesso a questa tecnica. Le indicazioni – specifica l’esperto – sono donne che hanno uteri molto malati, con fibromatosi, e che pur avendo concepito embrioni di buona qualità non riescono a portare avanti una gravidanza. Ed è indicato anche per le donne di età più avanzata, anche se in questo caso si aprono poi altre questioni”.